Cara Laura,
provo a continuare il discorso usando le tue domande e le idee di un autore francese che scrive di medicina.
Davanti ad un qualsiasi problema la tendenza comune è di chiedersi quale sia la soluzione:
Come redistribuire il reddito tra chi guadagna milioni di euro l'anno e chi ne guadagna
centinaia al mese?
Come gestire i disperati che si affidano ad una bacinella per attraversare il mediterraneo e finire in una gabbia per topi?
Come tassare i patrimoni di quel 10% di persone, fisiche e giuridiche, che detiene l'80% della ricchezza totale? (dato arbitrario ma esplicativo)
L'autore, in una digressione a sfondo medico, suggerisce di cambiare il punto di vista e provare a chiedersi il perché, un perchè appartenente ad un linguaggio con sfumature diverse...
pour-quoi dicono i francesi,
a causa di che cosa?
Le domande potrebbero quindi diventare :
A causa di che cosa esistono i BOT, i CCT ed il debito pubblico da essi sostenuto, a chi dobbiamo quei soldi e perchè continuano a prestarceli in abbondanza?
A causa di che cosa ci sono redditi da milioni di euro e redditi da centinaia?
A causa di che cosa le "sostanze" del mondo sono concentrate nelle mani di una percentuale così esigua di persone (fisiche o giuridiche)?
A causa di che cosa, per dieci anni, siamo stati quasi tutti convinti che l'11 settembre, 4 aerei dirottati con cutter da ufficio, si fossero resi protagonisti di uno spettacolare attacco che ha eluso, per ore, il controllo del cielo più protetto del mondo?
E a causa di che cosa, anche con le molteplici evidenze oggi disponibili rimane un argomento difficile da trattare, come testimonia il coraggio che si riconosce ad Enrico per il suo post?
Potremmo andare avanti ad oltranza (sarebbe da farci un Wiki, ognuno con i suoi pour-quoi a piacimento).
Secondo l'autore la corretta formulazione della domanda è una condizione pregiudiziale per la correttezza della risposta; rispondere al "come" mantiene il ragionamento su livelli rigidamente intellettuali e non dice nulla in merito all'origine del problema, spostarsi sul perchè aprirebbe le porte a risposte meno confezionate, meno
pronte.
Uso un
suo esempio medico per rendere giustizia al ragionamento, che nella tasposizione politico-economica viene un po' stiracchiato:
Trovandoci davanti ad un bambino iperattivo od insonne possiamo chiederci "come" risolvere il problema, orientandoci così verso la somministrazione di farmaci che correggono chimicamente il suo comportamento. Oppure chiederci il perché, che ci costringe ad indagare le sue peculiarità, il suo ambiente ed i suoi stimoli alla ricerca dell'origine del suo disagio.
Non sono certo che vi sia una risposta, o quantomeno che vi sia una risposta univoca e definitiva, ma la prospettiva offerta indica una via di ricerca rivolta al nucleo del problema e non "al sintomo del momento".
Mi piace
E
mi piace ancor di più quando sposta l'osservazione sulle
risposte, citando un rinomato collega spagnolo e la sua
regola dei tre perché:
Al
primo perché si ha sempre la risposta pronta, quella che ci è stata insegnata.
Al
secondo perché si deve cominciare a riflettere; le proprie
credenze riprendono rapidamente il sopravvento dopo aver vacillato un po' e si trova nuovamente una risposta pronta.
E' al
terzo perchè che si accede all'essenza stessa della domanda, non esistono più risposte programmate. A questo punto comincia la ricerca.
Una bella visione, ambiziosa ed applicabile a buona parte del nostro sapere.
"e adesso cosa si fa?"
Il ballo del del pour-qoui ... quoi, quoi, quoi :)