Ma sì, in fin dei conti sono d'accordo, e sposo anche l'invito a non sovrapporre (completamente) il concetto di superficialità e quello di generalizzazione; a pensarci bene è quest'ultimo aspetto che mi da più fastidio (questo non vuol dire che io a mia volta ne sia immune).
Il mio post precedente era più che altro dettato da una reazione (in parte istintiva, superficiale, in parte ragionata) a un atteggiamento, un modo di argomentare (non il tuo in particolare, sia ben chiaro) in cui mi sembra di imbattermi sempre più di frequente e di cui non so bene cosa pensare (se non che mi mette a disagio e di primo acchito non mi piace per nulla).
Il senso delle poche righe che seguono è quindi quello di provare a ragionarci insieme, magari in più di due o tre, mettendo giù qualche idea, qualche opinione: sia superficiali che profonde …
L'atteggiamento a cui mi riferisco potrei riassumerlo in questo modo: io ho un idea sul mondo piuttosto netta, idea che è definita in apposito luogo (questo luogo può essere il testo sacro di una qualche religione, il programma di un partito o di un movimento, la direttiva o le direttive di uno o più leader; cose così); nella mia idea del mondo le persone sono solitamente riconducibili a delle categorie (alcuni esempi in ordine sparso: fedele, infedele, gay, politico, intellettuale, operaio, padrone, comunista, membro della casta, destra, sinistra, cattolico, fondamentalista, eccetera); di conseguenza regolo i miei rapporti con il mondo, in special modo con le persone, in base all'idea e alle categorie di cui sopra.
Fin qui, a pensarci bene, non c'è niente di strano: con le sfumature e gli aggiustamenti del caso (soprattutto riguardo la “nettezza” delle nostre idee) in molti ci possiamo riconoscere in questo atteggiamento (che ci piaccia o no).
Il problema, o almeno quello che a me sembra tale, nasce quando l'applicazione della mia idea è particolarmente rigida e soprattutto quando applico in modo rigido le categorie che mi sono dato, alle persone con cui di volta in volta mi rapporto. Senza entrare nel merito, senza pensare che prima viene la persona e poi la categoria, senza tenere conto che esistono altre idee del mondo e altre categorie e che magari da queste potrei trarre, oltre che ragion d'essere in forma di contrapposizione, anche delle contaminazioni proficue.
Chiudo – per ora – la riflessione con un'ultima considerazione: questo tipo di atteggiamento, di solito, viaggia per slogan, per etichette, per messaggi semplificati e ripetuti: in questo senso forma e sostanza del messaggio sono strettamente connessi e diventa difficile parlare dell'uno ignorando l'altra e viceversa.