Calamandrei e la scuola

Stefano Barbieri
[ la redazione riceve richiesta di pubblicazione di questo scritto con nota: nonostante siano passati 60 ANNI ci aveva visto giusto!! ]


Roma, 11 febbraio 1950
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei 
III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale
Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell'Associazione a difesa
della scuola nazionale
«Facciamo l'ipotesi»
Piero Calamandrei
1950


Cari colleghi, Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università
[...]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo
la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che
incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per
difendere la scuola laica. Ed è anche un po' vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c'è
qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali
ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in
Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art.
7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a
quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa
Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà
[...].
La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al
centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete
letto la nostra Costituzione), nella seconda parte  della Costituzione, quella che si intitola
"l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del
popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della
politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi
costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il
Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra
questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la
concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si
dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la
funzione di creare il sangue [...].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il
problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe
dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e
discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche
classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende,
che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la
creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una
chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere
aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte
le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi
elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di  noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue
migliori qualità personali al progresso della società [...].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e
di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario
del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché
solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che
affiorino da tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula
meno immaginosa. È l'art. 34, in cui è detto: "La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli,
anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Questo è l'articolo
più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di
questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo
della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua,
quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra
Repubblica, domandiamoci: com'è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi
fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto
la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La
scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna
che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l'accento
su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così: "La Repubblica detta le norme generali
sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...]
lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la
legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di
realizzazione [...].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la
scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli
ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche,
che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La
scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è
scritto nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha
un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né
marxisti. La scuola è l'espressione di un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini
hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini
possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i
requisiti stabiliti dalla legge". Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato,
strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte  le
opinioni [...].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è
pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che
forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di
correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di
tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione,
nell'articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data
alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la
istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze
politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di
varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che
divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione,
di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non
un pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse.
Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private
corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in
altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica
con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le
scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e
che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non
c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l'espressione, "più ottime" le
proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare;
le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve
essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine
della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la
scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo
abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se
ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato:
la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono
scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a
trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto,
torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime.
Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale
però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la
marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere,
una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole
di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali.
C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il
partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e
comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel
partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di
privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono
migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di
dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole
pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e
si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non
potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di
Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è
la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1)
ve l'ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro
bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non
controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino  insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico.
Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro  pubblico! Quest'ultimo è il metodo più
pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l'operazione [...]. Questo dunque è il punto, è il punto
più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle
diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare
le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito [...].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta  furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo
nell'art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire
scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato". Come sapete questa formula nacque da un
compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni
sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di
raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid
che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può
violare la legge figurando di osservarla [...]. E venuta così fuori l'idea dell'assegno familiare,
dell'assegno familiare scolastico.
Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata
deve servire a "stimolare" al massimo le spese non  statali per l'insegnamento, ma non bisogna
escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol
mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino
che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le
scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo
benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio
onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge
quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno [...].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il
farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole
mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per portare un
paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per
ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro
controversie anche dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire.
Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l'arbitrato, di
rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! [...]. Dunque questo
giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a
disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi
manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una
certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito [...].
Poi, nella riforma, c'è la questione della parità.  L'art. 33 della Costituzione nel comma che si
riferisce alla parità, dice: "La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che
chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle
scuole statali" [...]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità,
lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa
parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le
norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a
controllare la serietà degli studi, i programmi, i  titoli degli insegnanti, la serietà delle prove.
Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle
scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si
insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità [...].
Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In
quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di
tante altre belle cose e poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un
angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c'è il cacciatore con il
fucile spianato. la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto
che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la scuola
privata, se non state attenti, sarà realtà davvero  domani. La scuola privata si trasforma in scuola
privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in
scuola di partito.
E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola.
Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola,
specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di
Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l'onestà, la puntualità. Queste idee
semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere,
formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che tutto
questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o
di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più
seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo è il
pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento
anni fa c'erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l'italiano e da cui uscirono uomini
come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere,
senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a
parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del
regime.
E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo
scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media
italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e
dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza
che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi
mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che  per lunghi anni affrontò serenamente la galera
fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri
studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d'Italia.
Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo
dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la
Resistenza e la continuità della coscienza morale.



Discorso sulla Costituzione 
Di Piero Calamandrei 
 
 
Il discorso qui riprodotto fu pronunciato da Piero Calamandrei nel salone degli Affreschi della Società Umanitaria il
26 gennaio 1955 in occasione dell'inaugurazione di un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione italiana organizzato
da un gruppo di studenti universitari e medi per illustrare in modo accessibile a tutti i principi morali e giuridici che
stanno a fondamento della nostra vita associativa. 
L'art.34 dice:” I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più
alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra costituzione c'è un articolo che è il più
importante di tutta la costituzione, il più impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per
voi giovani che avete l'avvenire davanti a voi. Dice così: 
”E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di
fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del
Paese”. 
E' compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi
dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini
dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula
contenuta nell'art. primo- “L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul  lavoro “- corrisponderà
alla realtà. Perché fino a che non c'è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre
con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà
chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica perché una democrazia in
cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui  ci sia soltanto una uguaglianza di diritto, è una
democrazia puramente formale, non è una democrazia  in cui tutti i cittadini veramente siano messi in
grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze
spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di
tutta la società. 
E allora voi capite da questo che la nostra costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una
realtà. In parte è ancora un programma, un ideale,  una speranza, un impegno di lavoro da compiere.
Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi! 
E‘ stato detto giustamente che le costituzioni sono anche delle polemiche, che negli articoli delle
costituzioni c'è sempre anche se dissimulata dalla formulazione fredda delle disposizioni, una polemica.
Questa polemica, di solito è una polemica contro il passato, contro il passato recente, contro il regime
caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime. 
Se voi leggete la parte della costituzione che si riferisce ai rapporti civili politici, ai diritti di libertà, voi
sentirete continuamente la polemica contro quella che era la situazione prima della Repubblica, quando
tutte queste libertà, che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano sistematicamente
disconosciute. Quindi, polemica nella parte dei diritti dell'uomo e del cittadino contro il passato. 
Ma c'è una parte della nostra costituzione che è una polemica contro il presente, contro la società
presente. Perché quando l'art. 3 vi dice: “ E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”  riconosce che questi
ostacoli oggi vi sono di fatto e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la costituzione, un giudizio
polemico, un giudizio negativo contro l'ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso
questo strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la costituzione ha messo a disposizione dei
cittadini italiani. Ma no è una costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una
costituzione che apre le vie verso l'avvenire. Non voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel
linguaggio comune s'intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una costituzione
rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società n cui può accadere che, anche
quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche dalla
impossibilità per molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c'è una fiamma
spirituale che se fosse sviluppata in un regime di  perequazione economica, potrebbe anche essa
contribuire al progresso della società. Quindi, polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di
fare quanto  è in noi per trasformare questa situazione presente. Però, vedete, la costituzione non è una macchina che
una volta messa in moto va avanti da sé. La costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si
muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro
l'impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una
delle offese che si fanno alla costituzione è l'indifferenza alla politica, l'indifferentismo politico che è -
non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani- una malattia dei
giovani. ”La politica è una brutta cosa”, “che me ne importa della politica”: quando sento fare questo
discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina,, che qualcheduno di voi conoscerà, d quei
due emigranti, due contadini, che traversavano l'oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi
contadini dormiva nella stiva e l'altro stava sul ponte e si accorgeva che c'era una gran burrasca con
delle onde altissime e il piroscafo oscillava: E allora questo contadino impaurito domanda a un
marinaio: “Ma siamo in pericolo?”, e questo dice: “Se continua questo mare, il bastimento fra mezz'ora
affonda”. Allora lui corre nella stiva svegliare il compagno e dice: “Beppe, Beppe, Beppe, se continua
questo mare, il bastimento fra mezz'ora affonda!”. Quello dice: ” Che me ne importa, non è mica mio!”.
Questo è l'indifferentisno alla politica. E' così bello, è così comodo: la libertà c'è. Si vive in regime di
libertà, c'è altre cose da fare che interessarsi alla politica. E lo so anch'io! Il mondo è così bello, ci sono
tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica non è una piacevole
cosa. Però la libertà è come l'aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si
sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent'anni, e che io
auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di
angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non
lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio
contributo alla vita politica. La costituzione, vedete, è l'affermazione scritta in questi articoli, che dal
punto di vista letterario non sono belli, ma è l'affermazione solenne della solidarietà sociale, della
solidarietà umana, della sorte comune, che se va a fondo, va a fondo per tutti questo bastimento. E' la
carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria dignità di uomo. Io mi ricordo le
prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946, questo popolo che da venticinque anni non
aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori- il
caos, la guerra civile, le lotte le guerre, gli incendi. Ricordo- io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui-
queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di
aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a
creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio paese, del nostro paese,
della nostra patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. 
Quindi, voi giovani alla costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere,
sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto- questa è
una delle gioie della vita- rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più, che
siamo parte di un tutto, nei limiti dell'Italia e nel mondo. Ora vedete- io ho poco altro da dirvi-, in
questa costituzione, di cui sentirete fare il commento nelle prossime conferenze, c'è dentro tutta la
nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti
sfociati in questi articoli. E a sapere intendere,  dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane.
Quando io leggo nell'art. 2, ”l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale”, o quando leggo, nell'art. 11, “l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle alte patrie, dico: ma questo è Mazzini; o quando io
leggo, nell'art. 8, “tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge”, ma questo è
Cavour; quando io leggo, nell'art. 5,  “la Repubblica una e indivisibile riconosce e promuove le
autonomie locali”, ma questo è Cattaneo; o quando, nell'art. 52, io  leggo, a proposito delle forze
armate,”l'ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”
esercito di popolo, ma questo è Garibaldi; e quando leggo, 
all'art. 27, “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci
lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti. Quanto sangue e quanto dolore
per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete
vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di
concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze,
che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un
testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra
costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati,
nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità,
andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.

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